Prestige Cuvée e l'evoluzione della specie - Linkiesta.it

2023-01-05 17:37:05 By : Mr. Ye Blair

Quando ero bambino, nei primi anni Ottanta, una Jaguar era una Jaguar, una Mercedes si faceva notare, una Porsche o una Ferrari erano rarità assolute. Per noi bricconcelli che sbavavamo davanti a un’auto di lusso erano merce rara. Io e il mio cugino francese – che abitava a due passi dalla frontiera svizzera – chiedevamo agli zii di portarci in gita nell’ubertosa Ginevra, dove passavamo giornate ad ammirare le berline e i coupé dei ricchi, a fotografarli, persino a redigere statistiche su quante Rolls-Royce, Maserati e Aston Martin riuscivamo ad avvistare.

Oggi le cose sono cambiate: Porsche e Lamborghini fanno i Suv, la Jaguar è diventata un veicolo alla portata di tanti benestanti, la Ferrari si affitta per un weekend per farsi notare nelle vie della cerchia dei Navigli milanesi.

L’industria ha capito che il lusso si poteva – si doveva – democratizzare, che il suo pubblico era estensibile, che non mancano consumatori disposti a indebitarsi per una Levante a rate. Senza contare che, nel mondo sempre più spregiudicato in cui viviamo, le diseguaglianze sono in crescita rapida, e a fronte di una moltitudine di nuovi poveri si staglia una minoranza di ricchi sempre più facoltosi.

Lo stesso vale per lo champagne. Il vino simbolo del prestigio e del privilegio sociale da almeno tre secoli ha preso le misure della contemporaneità, e si è adeguato. Alcuni anni fa regalare o ordinare una bottiglia di champagne era segno di distinzione: il nome della denominazione d’origine era garanzia dell’eccezionalità del portafogli o della circostanza.

Poi sono venute le “cuvées de prestige”, ossia quelle etichette ricercate e superlative, selezione del meglio del meglio, che le più note maisons immettevano sul mercato per offrire un upgrade a chi poteva permetterselo. Sono le bottiglie di James Bond: Dom Pérignon su tutti, Comtes de Champagne di Taittinger, R.D. di Bollinger. Esattamente come le classi – pardon, “livelli” – dei treni sono passate da due a quattro.

Ma nella realtà sperequata dei nostri giorni non bastano più: il magnate russo, il milionario texano, il parvenu cinese non si accontentano, ed esigono di più. Vogliono mostrare di avere i mezzi per bere Krug tutti i giorni, ma nella discoteca di Porto Cervo e nel ristorante di Saint-Moritz serve ben altro per farsi notare. Per prendere cioè le distanze dall’azzeccatissimo slogan pubblicitario di fine anni Ottanta: «Per molti… ma non per tutti» (giust’appunto usato da una nota casa spumantistica e rivolto all’italiano della strada, o meglio: del supermercato). No, le cuvées de prestige hanno un claim diverso: «Per pochi, e selezionati». Fare parte di quella cerchia di eletti è un must psico-sociale. Così la Champagne si è plasmata alle nuove richieste del mercato, proprio come fa dalla fine del XVII secolo.

In principio era Dom Pérignon A metà anni Trenta Moët & Chandon, la più nota casa di champagne del pianeta, presentò l’annata 1921 della cuvée Dom Pérignon, da allora in poi sempre e solo millesimata. Nonostante non sia stata in assoluto la prima tra le cuvée prestige (vedi Cristal di Roederer), è quella più celebre ed emblematica, e ha reso famoso il nome del povero fraticello di Hautvillers, tirato per la giacchetta da tanti. Con l’annata 2000 Moët procede a un primo riposizionamento: svincola il marchio Dom Pérignon da quello della casa madre – troppo nota per i suoi champagne “di massa” – e lo rende autonomo. Qualche anno dopo affina la strategia e inizia a lanciare “super-Dom Pé” a tiratura limitata: griffati con il nome di noti artisti, oppure invecchiati ancora più a lungo (le cuvée P2 e P3).

Cristal Roederer: l’antesignano La cuvée de prestige di Louis Roederer – si pronuncia Cristàl, con l’accento sulla a – fu una sorta di precursore, di prototipo della categoria. Nel 1876 la maison di Reims rispose alla richiesta dello zar Alessandro II (sì, già all’epoca c’entrava la Russia!) e produce uno champagne speciale in bottiglia trasparente di cristallo. Solo negli anni Venti, ma poi soprattutto Cinquanta del Novecento, dopo qualche esperimento commerciale, Roederer decide di proporre stabilmente la propria creazione sul mercato. Più ancora che un’icona, diventa un punto di riferimento qualitativo per tanti appassionati. Non diversamente da altri, introduce in seguito una versione “evoluta”, Cristal Vinothèque, che propone vecchie annate pienamente mature.

Il caso Krug La tanto osannata maison di Reims – ritenuta da molti la migliore in assoluto – ha a lungo puntato sull’eccellenza della propria etichetta “base”, Grande Cuvée. Ma i nuovi presupposti del mercato l’hanno indotta a presentare anche etichette più sofisticate, con una logica diversa da tante altre aziende, ossia la ricerca del dettaglio territoriale: champagnes da singolo vigneto. Nel 1979 esce la prima annata del Clos du Mesnil, blanc de blancs Grand cru ottenuto da una vigna murata nel 1698, e di appena 1,84 ettari (suppergiù l’estensione della Romanée-Conti). Un successo che induce Krug a presentare nel 2008 il suo alter ego: il blanc de noirs Clos d’Ambonnay annata 1995 (0,68 ettari di pinot nero, anch’essi Grand cru, ripiantati solo di recente).

In casa Bollinger Anche Bollinger, come Krug, ha per anni messo l’accento sul valore della propria etichetta “base”: Special Cuvée, un vino che molti hanno considerato a lungo il miglior champagne “di entrata” disponibile sul mercato. Ma la maison di Aÿ non è sfuggita alla tentazione delle cuvée di lusso: dall’annata 1969 Vieilles Vignes Françaises, bottiglia ottenuta da particolari viti a piede franco coltivate in due appezzamenti (solo 0,31 ettari!); poi la recentissima Côte aux Enfants, anch’essa da singola vigna Grand cru. Senza dimenticare R.D., stimata versione da lunghissimi invecchiamenti, varata con l’annata 1952 dopo il felice esperimento della ‘47.

E gli altri… Tra le cuvées de prestige non si può dimenticare una lunga serie di altri nomi: Salon (un’unica etichetta, nata per sfizio nel 1911 a Le Mesnil-sur-Oger); Belle Époque di Perrier-Jouët (dal 1964 con la sua bottiglia “art nouveau”); La Grande Dame di Veuve-Clicquot; la Grande Sandrée di Drappier (rara maison dell’Aube); Sir Winston Churchill di Pol Roger (intitolato allo statista britannico, che adorava la maison); Comtes de Champagne di Taittinger (dal 1952); i lieux-dits di Jacques Selosse o di Jacquesson; il roboante Brut Gold Armand de Brignac (forgiatosi la reputazione di champagne dei rapper di successo); persino Palmes d’Or di Nicolas Feuillatte (cuvée di lusso di una mastodontica cantina sociale); e via discorrendo.

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